venerdì 31 maggio 2013

Lo hobbit o la riconquista... delle favole

J.R.R. Tolkien è uno di quei pochi autori geniali abbastanza per avere due schiere di lettori: quelli che una volta letto l'adoreranno per la vita e quelli che dopo poche pagine lo abbandoneranno per il resto dei loro giorni. 
Facile parlare oggi di un autore tanto celebrato? Forse, o forse no. Si è sentito un po' di tutto, ed è difficile trovare qualcosa in più da dire. Ma mi sono detta che, in fondo, non fanno male due considerazioni in più, o due considerazioni già fatte ma espresse in modo un po' diverso, immagino.

Il buon Professor Tolkien

Un pensiero affettuoso alla mia tutta particolare professoressa di italiano delle medie: contrariamente a tanti maestri, lei ci propose una lettura anticonvenzionale. Propinare Cuore, il Diario di Anna Frank, e simile letteratura estremamente depressiva, per quanto di alto livello accademico, traumatizza ogni generazione di undicenni che lasciano l'ambiente ovattato delle elementari per entrare nell'adolescenza: inizio a farmi un'idea o due sul perché certi ragazzetti oggi sono emo. La mitica professoressa di quella Prima B delle mie scuole medie ci disse che avremmo letto Lo Hobbit, e ricordo qualcosa del suo discorso iniziale sull'argomento, a proposito di quanto Tolkien fosse bistrattato nell'ambiente accademico italiano, soprattutto nell'insegnamento della letteratura nelle medie inferiori. Come tutte le cose che si fanno per forza, ammetto di aver iniziato ad odiare le parti più lente e/o prolisse del libro, ma do sicuramente il merito alla mia buona insegnante di avermi aperto effettivamente un mondo.


La mia edizione!


Ma facciamo un passo indietro, perché per parlare bene de Lo Hobbit bisogna parlare di favole. Quale bambino che abbia avuto un'infanzia felice o pressoché normale non ha sentito o letto delle favole? Io ne sono sempre stata circondata, e non erano semplicemente i libricini della Disney. Da Beatrix Potter alle fiabe orientali, dal Gigante Egoista a Gianni Torta, passando per l'Uccellin Belverde, questo genere letterario mi ha accompagnato e suppongo mi accompagnerà sempre, in un modo o nell'altro. Notoriamente, la favola si associa ai bambini... ma chi lo ha stabilito che un adulto non possa trarre lo stesso piacere o imparare anche se un po' più attempato del nipotino da una buona storia? Non è tanto il mostro da sconfiggere o la bella principessa da tenere in considerazione, ma quello che la fiaba ci trasmette in termini di morale, di conseguenze delle nostre azioni, di sentimenti degli altri, dei valori di amore e amicizia.
Come saggiamente cita Neil Gaiman all'inizio della sua Coraline, fiaba meravigliosa a cui magari riserverò un altro post, "Le fiabe sono più che vere. Non perché ci dicono che i draghi esistono, ma perchè ci dicono che i draghi possono essere sconfitti".


Smaug il drago, che si è messo comodo


Draghi! Veniamo appunto al drago della situazione, o meglio alla situazione in cui troviamo il drago.
Lo hobbit nasce, come ormai è leggenda e aneddoto d'impatto, da un'annotazione di Tolkien, fatta a margine di qualche noiosissimo mucchio di scartoffie, annotazione che diventerà l'incipit del suo romanzo. Tolkien era un linguista, ma amava non soltanto la lingua in sé, ma anche ciò per cui veniva impiegata: non solo la forma, ma anche il contenuto. 
Bilbo Baggins è il classico ometto, o meglio il classico hobbit: abbastanza ricco per vivere senza preoccupazioni, mangia cose buone, ha una bella casa, fuma la sua pipa con gran soddisfazione e non ha un pensiero grigio per la testa. Il Grigio, ovvero lo stregone, finirà però per presentarsi alla sua porta e dargli "una spintarella fuori". Un gruppetto di nani nostalgici delle vecchie loro glorie stanno partendo in missione per uccidere l'ultimo dei grandi draghi e riprendersi il loro regno. Bilbo è un Baggins e non è molto convinto, ma è anche figlio di Belladonna Tuc, proveniente da una famiglia di scapestrati scavezzacollo a cui le avventure sono sempre andate più che a genio, attirandosi le ire e i sopraccigli sollevati del resto della comunità di hobbit comodoni, magnaccioni e fumatori. Gandalf il Grigio da la definitiva bella spinta oltre l'uscio rotondo di casa Baggins, e Bilbo inizia il tortuoso viaggio non solo verso la immancabile sconfitta del drago, la liberazione degli uomini da esso oppressi, ma anche verso la scoperta di se stesso.


Bilbo che caracolla fuori di casa

Grazie a una nuova, fiammante edizione de Lo Hobbit Annotato - perché quella scolastica della prof di cui sopra non solo ha gli esercizi in fondo e una traduzione a tratti discutibile, ma casca pure a pezzi - ho colto molto più di quello che avevo fatto ad una rilettura precedente, risalente più o meno a quando uscì la trilogia del Signore degli Anelli al cinema. Il filo conduttore è sempre la fiaba: l'eroe che non sa di esserlo, e in questo caso proprio non lo è, che parte per un lungo viaggio con dei compagni di avventura, per sconfiggere il male e tornare a casa ricco. Uno schema basilare e piuttosto abusato, ma dobbiamo anche ricordare che Lo Hobbit esce negli anni '30, prima che tanti fenomeni di letteratura ci dimostrassero quanto "tiri" il fantasy.


Fantasy da manuale

Questo libro è una favola: prende spunto dalla passata letteratura del genere, traendo nomi, situazioni ed escamotage narrativi, ma allo stesso modo sovverte alcune regole del gioco. Nelle grandi saghe nordiche, il protagonista è un grande eroe, che deve raggiungere gli dei, e se non lo fa è solo una grande delusione e sconfitta. Il lettore però, in questo caso, si trova di fronte non a un grande condottiero armato fino ai denti, agile e scattante, forzuto e pieno di fiducia in se stesso: Bilbo è grassoccio, un po' lamentoso, pieno di dubbi e di voglia di tornare a casa. E neppure i suoi compagni d'avventura sono tutto questo esempio di cavalleresco valore: il loro capo è burbero e orgoglioso, e sono in fondo una banda di sconclusionati raminghi, senza quella casa che vogliono andare a riconquistare. 


Nani "seri"

Per quanto queste creature della Terra di Mezzo - allora in fase di germinazione nella mente di Tolkien, tanto che il romanzo è spesso incoerente con il resto dei lavori dell'autore - siano effettivamente "fantastiche" per le loro caratteristiche fisiche e personali, sono personaggi definitivamente umani: hanno nostalgia di casa, hanno paure e dubbi, si ritrovano a condividere incomprensioni nonostante l'affetto e il cameratismo, devono tirarsi fuori dalle situazioni spesso in maniera scomoda, e non possono non lamentarsene, come faremmo tutti. Il drago, bramoso di oro, di fasti e decadente come solo il personaggio di un grande romanzo o l'esponente di una civiltà in declino può essere, è sì malvagio e contro i protagonisti, ma affascina per la sua astuzia, così come si biasima per la stupidità a cui lo porta l'ingordigia e l'egoismo.

Smaug è contrariato...

Gli elementi della fiaba sono sparsi in ogni capitolo. C'è uno stregone misterioso, che parla per enigmi, che fa loro da guida ma si dilegua "per suoi affari" ogni volta che può e soprattutto ogni volta che i personaggi devono affrontare da soli le cose per crescere. Ovviamente, il mago ricompare solo quando è necessario. Ci sono tre troll, stupidi e affamati che vengono gabbati dal gruppetto, che li tiene occupati finché non spunta il sole e loro diventano pietra. C'è la foresta oscura e densa di pericoli. Ci sono gli elfi! Ma Tolkien non fa l'errore di creare semplicemente - almeno per questo libro - una razza superiore. Non lasciamoci ingannare dai giochi di ruolo e le illustrazioni patinate: elfi, fate e folletti nel folklore anglosassone sono notoriamente spiritelli birbanti, pronti a fare scherzi di ogni genere, e anche crudeli, che traggono forza dal sangue dei bambini umani, che scambiano con i propri o tormentano. Il Re degli Elfi è forte e potente, ma è anche orgoglioso quasi quanto il Re dei nani, capo della compagnia, anche se non lo ammetterebbe mai. Il suo sentirsi superiore non lo rende magnanimo come dovrebbe essere, e invece di mettersi a trovare un accordo, preferisce imprigionare la piccola compagnia; questa cosa non sarà dimenticata da Thorin Scudodiquercia, il capo, che si dimostrerà ugualmente cocciuto e spocchioso. Il drago, a sua volta, è un elemento cardine delle fiabe, e sappiamo che ogni drago ha un suo punto debole. Tutti questi elementi, per quanto riconducibili a letteratura per ragazzi, fantasiosa e apparentemente lontana dalla realtà, ci ricordano tanti dei nostri difetti e ci suggeriscono i modi per migliorare noi e gli altri.
Celeberrima illustrazione di Alan Lee
E gli uomini? Gli uomini della situazione sono a loro volta l'emblema di una società vera. La politica corrotta la si vede nel governatore della città, pronto a godersi i privilegi della sua carica, ma non disposto a combattere per ciò che potrebbe davvero essere il riscatto della città. Preferisce anche lui, come il drago, crogiolarsi in quello che ha, e cercare solo il guadagno facile ed egoistico. L'eroe però emerge, anche se prima è bistrattato e malconsiderato: non è popolare, non è famoso, è soltanto il pazzo del villaggio, quello che millanta grandi cose per cui nessun altro è disposto a sforzarsi abbastanza.


Uomini della città di Dale


Il riscatto del piccolo e del maltrattato è il tema del romanzo, è la favola che sboccia: Bilbo tornerà a casa ricco sia in sostanze che in spirito, i suoi compagni riavranno la loro casa e impareranno che l'orgoglio è una virtù se si accosta alla generosità, gli uomini costruiranno finalmente la propria dimora e potranno tornare a crescere. Nonostante però la fiaba, ciò che traspare è la verità e la sostanza. I drammi dell'animo e le gioie delle cose che diamo per scontate, il valore dell'amicizia e della pietà.


Bilbo con lo sguardo furbetto
Ehi, aspettate... Gollum, dite? 
La creatura Gollum è diventata uno dei personaggi della letteratura più complessi e profondi: vittima del male, da compatire e da riscattare, eppure troppo corrotto per essere salvato, e allo stesso modo impossibile da abbandonare. Gollum nasce all'interno di questa avventura, senza la minima idea, da parte dell'autore stesso, di cosa sarebbe scaturito da esso. Il capitolo "Indovinelli nell'Oscurità", in cui Bilbo e Gollum si sfidano a colpi di enigmi per decidere se lo hobbit sopravviverà oppure no, è un piccolo capolavoro di narrativa fiabesca, dove il pericolo è concreto e spaventoso, ma dove l'arguzia è la vera arma, bianca e potentissima.
Tesssoro, che dici, ce lo mangiamo comunque?
Se amate le favole, dunque, o siete convinti che queste possano veramente insegnarvi ancora qualcosa, Lo Hobbit è una lettura che non vi potete perdere. Concludo questo excursus con una citazione dall'introduzione dal saggio sulle fiabe che scrisse proprio Tolkien, e che vi invito sicuramente a leggere, se ne avrete voglia:


"Il reame della fiaba è ampio, profondo ed eminente, pieno di molte cose: vi si possono reperire animali terrestri e alati d'ogni specie; vi sono mari sconfinati e miriadi di stelle, una bellezza che incanta e pericoli sempre in agguato; e la gioia e il dolore vi sono affilati come spade. È un reame in cui un uomo può forse considerarsi fortunato per avervi vagato, ma la sua stessa ricchezza e singolarità inceppano la lingua del viaggiatore che volesse riferirne. E, mentre vi si trova, è rischioso per lui porre troppe domande, per tema che i cancelli si serrino e le chiavi vadano perdute" 
Illustrazione dal libro "Instructions" di Neil Gaiman e Charles Vess

venerdì 17 maggio 2013

Nero Wolfe: quando, omaggiando l'estero, l'Italia fa cose belle

Scettica lo sono sempre, quando la Rai sforna qualcosa di nuovo, ma da amante dei gialli e di Sherlock Holmes, quando ho visto le prime pubblicità di Nero Wolfe, devo dire che mi ero incuriosita parecchio. Vuoi per l'accattivante voce di Francesco Pannofino, che mi ricorda il buon Gil Grissom e la sua morbidezza, vuoi qualche ricerchina sull'argomento, questo corpulento e misogino investigatore brontolone e il suo assistente amante delle donne mi hanno incuriosito, e non poco. 

Il ciuffo e il baffo nel logo della serie

Ma di chi sto parlando? Nero Wolfe è uno dei grandi investigatori della letteratura. Miss Marple, Poirot e Sherlock Holmes sono generalmente quelli più conosciuti dal grande pubblico, ma c’è tutto un universo di altri brillanti geni dell’investigazione che si trovano proprio dietro l’angolo. Nero Wolfe nasce dalla penna di Rex Stout nel 1934 con la pubblicazione di Fer-de-lance, primo romanzo dei tanti che seguiranno, ed è un uomo, come dicevo prima, ben piazzato, per non dire molto grasso, particolarmente pigro e si può dire un po’ viziato: non è incline ad alzarsi dalla sedia per qualsiasi motivo, se non i suoi personalissimi, e la sua mente superiore effettivamente gliene può arrogare il diritto. Ha delle passioni viscerali, quali la buona cucina, la birra e la cura delle orchidee, cose che vengono minacciate soprattutto dalle donne, che non apprezza - è un po' misogino - e che sono sempre rigorosamente prioritarie, per lui, rispetto a qualsiasi altra cosa. Ma per fare questa vita fatta di tranquillità, ben mangiare e giardinaggio specializzato, serve una buona dose di capitale, un po’ come per ogni gentleman of leisure. Chi procura dunque una rendita a Mr Wolfe? Il suo lavoro da investigatore, naturalmente, di cui lui è solo la mente, mentre il suo segretario Archibald, chiamato sempre Archie, Goodwin è il braccio, l’occhio e tutto quel che serve per non scomodare il suo superiore. Archie non è da considerare un personaggio a due dimensioni o un semplice messo: è piuttosto intelligente, affascinante, è spudorato ma ammaliante, amante delle donne ma non donnaiolo, forse un po’ troppo lamentoso, ma c’è da dire che è difficile vivere con Nero Wolfe e stare sempre zitti. Ma soprattutto, Archie Goodwin è l’amico e il collaboratore fedele, il Watson di uno Sherlock un po’ sovrappeso. La piccola nota di gossip è che qualcuno ha associato Mr Wolfe all’investigatore di Baker Street, volendolo figlio di Holmes e della Adler, l’unica donna che lo sconfisse… ma appunto si tratta di un pettegolezzo, e di un escamotage usato per spinoff e attirare lettori. Personaggi di contorno sono Fritz Brenner, il cuoco di casa Wolfe, il giardiniere Theodore Horstmann, l’ispettore Cramer della polizia di Manhattan, e tanti altri, tra cui poliziotti, ereditiere, e informatori.

Copertina vintage italiana del primo romanzo

Per tornare però alla tv, Nero Wolfe era stato già protagonista di uno sceneggiato di successo della RAI tra il 1969 e il 1971. Tino Buazzelli era il protagonista, con Paolo Ferrari nel ruolo di Archie Goodwin. Uno sceneggiato che molti ricordano con piacere, girato a basso budget ma con eccellente riuscita. La nuova serie, andata in onda nella primavera del 2012 non ne è né una continuazione né una ripetizione. È ambientata negli anni 50 a Roma: l’escamotage narrativo vuole che l’investigatore americano abbia avuto delle “noie” con l’FBI e si sia dovuto trasferire nella capitale italiana. Ed è qui che deve riprendere a lavorare, ma soprattutto mangiare e prendersi cura delle sue beneamate orchidee, reduci da un quasi disastroso viaggio oltreoceano.


Caricatura/poster della vecchia serie

Dopo Boris, leggere i nomi di Pannofino e Sermonti (nonostante quest'ultimo non fosse il mio eroe d'infanzia/adolescenza come per molte) legati a una nuova serie non può che voler dire che almeno i protagonisti non deludono. E non lo fanno: Pannofino nei panni di Nero Wolfe è compostissimo, geniale, brontolone e cocciuto come un bambinone, amante della cucina e delle orchidee più che della gente ma profondamente umano; l’Archie Goodwin di Sermonti è un po' "piacione", ma anche elegante e raffinato con il panciotto, flirta e ammalia ad ogni movimento di ciuffo, e nonostante si lamenti un po' della sua condizione di servo del capo, non lo tradirebbe mai.


Archie e Nero Wolfe nello studio
Nero Wolfe, "tutto suo padre"
Archie, il ciuffo al vento e la capote della Jaguar

Che dire delle storie? Abilmente riprodotte in un contesto italiano di 20 anni più vicino a noi rispetto alle originali, eppure accattivante e coinvolgente, tutte riadattate dai romanzi e rese convincenti come se fossero state tutte scritte in maniera identica. I nomi italiani dei personaggi, sospettati e vittime che siano, non stonano tanto quanto si può pensare, e gli intrecci sono ripresi e sviluppati senza noia, senza intoppi e con una buona dose di umorismo e azione. C'è da dire che qualche attore non ha lo stesso talento recitativo di altri, ma per gli standard italiani, non c'è nulla di cui lamentarsi! Le location romane hanno il sentore di casa, ma anche di nuovo e alla moda, così come i coloratissimi ma mai chiassosi costumi. Tutto sa di stile, di eleganza, e nonostante il tutto sembri uscito da un fumetto di qualità, niente ti sembra caricato, niente ti sembra finto.


Ad Archie qualcosa non torna, nel bel mondo romano...

Mr Wolfe e Archie sono circondati da altri personaggi di contorno, a loro volta rivisti e corretti, ed è bene parlare anche di loro. Per cominciare, il cuoco e l'informatore dei romanzi sono sostituiti con due "controfigure" italiane, che non ci fanno del tutto rimpiangere i loro originali: per primo lo chef (precisiamo!) Nanni Laghi, interpretato da un vero cuoco, Andy Luotto, quindi ancora più capace di far venire l'acquolina in bocca anche dall'altra parte dello schermo, che si dimostra un eccellente professionista ed entra a far parte di quella sorta di menage famigliare di casa Wolfe, oltre a suscitare una certa tenerezza ed empatia quando si commuove o lascia trasportare; e poi Spartaco Lanzetta, pasticcione e molto "romanesco", informatore che gira per i bassifondi ma non ne è corrotto, fa battute a sproposito sperando di strappare un po' di simpatia, e lo fa, sempre - tranne che con Nero Wolfe. 


Nanni e i suoi manicaretti ispezionati dal capo

Lanzetta che fa il simpaticone

In più, c’è il “trio delle meraviglie”, che ad essere precisi è più un duo con l'elemento di disturbo: il commissario Graziani, il non ben specificato sottoposto Bordon e la giornalista di nera Rosa Petrini. Graziani soprattutto, e Bordon a modo suo, sembrano usciti da un graphic novel americano della Marvel: il commissario ha la faccia spigolosa, il sigaro sempre tra le dita o penzoloni alla bocca, il capello impomatato, è ligio al dovere e ferreo nonché scettico finché le prove non gli urlano letteralmente una conferma, con un'ulcera che lo tormenta quando le cose gli sfuggono di mano e Nero Wolfe lo precede; Bordon è un po' più il belloccio della situazione, ma inevitabilmente un po' più tonto, per quanto fedele naturalmente al capo e pronto a rispondere ad ogni ordine e a prendere l'iniziativa se necessario, non sempre con esiti disastrosi. Grazie al cielo, almeno qui, la polizia non è del tutto inetta e sa fare il suo lavoro, anche se senza la genialità di Wolfe non arriva sempre troppo lontano: a mio parere, un punto da apprezzare. Troppe volte infatti certa polizia di cinema, tv o letteratura, di fronte a certi grandi investigatori, è rimasta sempre a fare la figura del gruppetto di scimmie che si grattano la testa. Siamo nel Ventesimo secolo (nella fiction), ed è alquanto patetico cercare di far risuonare l’intelligenza del protagonista nel silenzio degli stolti, che sono invece coloro che non fanno il loro lavoro per hobby. Non è forse vero che non è importante chi grida più forte degli altri, ma chi pur sussurrando viene ascoltato da tutti?


Graziani e la sua ulcera all'attacco

Bordon e la sua espressione (più) intelligente
Rosa Petrini chiude il trio: giornalista pronta a tutto o quasi per una storia, comanda a bacchetta il suo fotografo e cerca di farsi strada nel mondo, con le unghie e con i denti, ma anche con un sorriso e l’abilità della sua mente femminile. Anche il mondo della carta stampata sembra quello di un graphic novel, ma non per questo sembra fittizio o stona. L’atmosfera che si percepisce non si allontana poi tanto da quella del romanzo, in cui investigatori e stampa sembrano fare a volte da collaboratori, altre da indispensabili compagni e altre ancora da acerrimi nemici. Rosa non è una semplice donna in carriera che per non farsi comandare dagli uomini è come loro: potrà indossare i pantaloni e fumare una sigaretta dietro l’altra, ma sfrutta tutto ciò che una donna può usare per superare gli ostacoli di un mondo maschilista. La tensione tra Rosa e Archie è sempre alle stelle, anche se non sempre per gli stessi motivi: l’attrazione è forte, ma anche l’orgoglio, e un po’ flirtando e un po’ fregandosi a vicenda, i due sono una specie di squadra, o forse una coppia, un po’ sconclusionata ma decisamente stupenda. Un lieto fine per questi due? Non c’è stato, e probabilmente sarebbe fin troppo banale. Io li vedo bene a bisticciare tutta la vita.
Rosa sotto copertura

La coppia che scoppia

E dopo otto puntate, la serie si è conclusa con il botto. Nero Pannofino e Archie Sermonti torneranno sugli schermi Rai? Tutto fa presagire di no, e questo mi addolora davvero. Un prodotto ben orchestrato come questo non lo rivedremo più con tutta probabilità, e di simili non se ne vedono proprio all'orizzonte. Cosa mi manca anche di Nero Wolfe? Condividere la visione con le amiche e altri appassionati: prendere in giro Rosa e gli sforzi che fa per avvicinarsi un po’ ad Archie, i suoi auto sabotaggi che tutte noi potremmo fare al suo posto, scioglierci un po’ al ciuffo di Archie mantenendo sempre la visione critica di donne intelligenti sul fatto che gli uomini sono molto limitati, intenerirci un po’ alla visione dei pigiami color canarino e i grembiuli di Mr Wolfe e ai suoi brontolii, della sua somiglianza allo “zio Mycroft”, fratello di Sherlock Holmes (che come dicevo all’inizio, gossip lo vuole padre naturale di Nero), al languorino perenne durante la visione di Nanni Laghi che guarnisce i suoi piatti, al tifo da stadio per Graziani, Bordon e Lanzetta. 


Daje!

La nota interessante è l’attenzione al social network twitter da parte della produzione: il profilo NeroWolfeTv (https://twitter.com/NeroWolfeTv) veniva seguito da tanti appassionati della serie, e il gestore era molto attento a ritwittare cose interessanti, a coinvolgere gli utenti con giochi, sondaggi e anche qualche premio. Molti, tra cui io, commentavano in diretta la puntata con gli hashtag (le etichette per dare evidenza ai twit, parole chiave precedute da un #). 


Profilo twitter aggiornato a molti, troppi mesi fa

Nero Wolfe è stata una fiction del nuovo millennio, e speriamo che tante altre la seguano, in qualità, bellezza e attenzione allo spettatore.

Vi lascio in compagnia delle musiche di La Femme Piège: un misto di jazz e motivetti accattivanti, per cui non ho parole precise: poco me ne intendo, ahimè, ma so che, personalmente, non riesco a smettere di ascoltarle! 




Come buy, come buy...

Come si inizia solitamente un blog? Ci si presenta? E allora presentiamoci!

Le presentazioni sul web sono cose veramente orribili, a pensarci: io ne ho scritte tante, nel corso degli anni. Da quando il vecchio modem strideva come un fax per tutta casa, e la connessione costava un tot di lire al minuto, mi sono iscritta in così tanti forum, siti, community, social network, che ormai mi sono dimenticata il numero, e parecchie password. Rileggere una vecchia presentazione è come fare un tuffo nel passato: rendersi conto delle passioni passate, di quelle morte o di quelle accantonate solo per un po', di quelle dimenticate, ma anche di un vecchio taglio di capelli, di vecchie abitudini, di vecchi amici.

Come iniziare allora a presentarmi in questo blog, che non leggerà nessuno? 
Sono una ex studentessa, con una laurea magistrale in corso di spedizione (spero) a casa mia e uno stage che definirlo precario sarebbe un eufemismo. Una libreria stracolma di libri che probabilmente non leggerò mai, una videoteca di cose che rivedrò finché non si sarà consumato l'ultimo dvd ancora incelofanato, scaffali pieni di fiabe di ogni formato, e quel che ne consegue.

Apro questo spazio per esercitarmi un po', perché scrivere mi piace e se non scrivi mai, non impari a farlo. 

Se gradite la permanenza, restate. Vi offro una tazza (virtuale) di tè, e vi lascio in compagnia di una delle mie canzoni preferite, che per una tazza nel tepore della primavera (prima o poi arriverà, suvvia) è perfetta.